Invecchiamento cognitivo valutato
con un nuovo approccio
LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 29
settembre 2018.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
E adesso capivo cosa fosse veramente la vecchiaia –
la vecchiaia che fra tutte le realtà è forse quella di cui
serbiamo per più tempo nella vita una nozione puramente
astratta…; finché, un giorno, il
nipote di una nostra amica,
un giovanotto che, istintivamente, tratteremmo come un
compagno, sorride come se lo stessimo prendendo in giro,
noi che ai suoi occhi abbiamo l’aspetto d’un nonno;
capivo cosa significano la morte, l’amore, le gioie
dello spirito, l’utilità del dolore, la vocazione, ecc. …
[Marcel Proust, Alla Ricerca del Tempo Perduto, IV vol.,
p.621, I Meridiani, Mondadori, Milano 1993]
Anche se
la fisiologia involutiva del cervello, come per il resto dell’organismo,
comincia quando cessa quella evolutiva, il decadimento senile delle funzioni
cognitive in assenza di patologia si verifica molto tardi, soprattutto quando
la mente è quotidianamente esercitata in operazioni che, oltre a stimolare le
unità neuro-glio-vascolari, mantengono in vita i nuovi neuroni quotidianamente prodotti
nel giro dentato dell’ippocampo. Funzionalmente, il cervello di ricercatori,
scienziati e docenti universitari, ma anche di persone appartenenti a qualsiasi
altra categoria professionale e sociale che eserciti un costante ed intenso
impegno intellettivo, ha la possibilità di assicurare prestazioni cognitive di
alto livello, fino ed anche oltre l’ottava decade di vita[1]. In realtà, il momento esistenziale in cui si
sperimenta il giudizio sociale di “anzianità” generalmente precede di molti
anni l’epoca in cui si è disposti ad accettare di essere considerati vecchi.
Nelle righe che precedono il brano citato in esergo, Marcel Proust rende
magistralmente la psicologia di questa condizione:
Mi disse Gilberte de
Saint-Loup: «Volete che andiamo a pranzo al ristorante, voi e io soli?». Quando
le risposi: «Se non vi sembra compromettente pranzare da sola con un
giovanotto», sentii che tutti, intorno a me, ridevano, e mi affrettai ad
aggiungere: «o, per dir meglio, con un anziano signore». […] Non m’accorgevo di
quanto ero cambiato. Ma da cosa se ne accorgevano, in effetti, quelli che
avevano tanto riso? Non avevo un solo capello grigio, i miei baffi erano neri.
Avrei voluto poterglielo chiedere, da cosa emergeva l’evidenza della cosa
terribile[2].
Si
potrebbe facilmente, per dare una risposta ideale all’io narrante di Proust,
fare un elenco delle modificazioni del profilo osseo dello scheletro facciale,
della cute, della consistenza e dell’adesione del sottocutaneo allo strato
muscolare del viso, del tono di questi muscoli, con cambiamento del profilo
d’espressione, e di quelli del tronco, con variazione della postura; ma si
dirà, invece, della ragione della sofferta sorpresa nell’essere giudicato
anziano: lo stato interno non corrisponde alla rappresentazione concettuale che
si ha della forma identitaria culturalmente attribuita a quella fase della
vita. E ciò avviene, sia perché il cervello non si percepisce funzionalmente in
declino, sia perché nel giudizio sociale si tende – soprattutto da parte delle
persone giovani – ad assimilare e confondere la mezza età con la vecchiaia.
Eppure, queste due fasi sono socialmente caratterizzate da contrassegni
distinti di aspetto, abbigliamento e comportamento.
Ma, negli
anni recenti, sono sempre più numerose le persone che “fuggono” dagli
stereotipi della propria età, così da lasciare quasi vuoto lo spazio sociale
occupato un tempo dalle persone di età media, compassate, con qualche chilo di
troppo, invariabilmente in abbigliamento classico, non proprio all’ultima moda;
e dalle persone anziane, con occhiali spessi, appesantite dagli acciacchi e
munite di bastone. E, proprio per sfuggire allo stigma della caratterizzazione
convenzionale, molti prendono parte ad una sorta di follia collettiva nella
rincorsa ad occultare, dissimulare, coprire o cancellare i segni dell’età, in
forme estreme e talvolta controproducenti: ultrasettantenni con creste colorate
da adolescenti di borgata, orecchini, tatuaggi e scarpette fluorescenti o
luminose; nonne, in città con tute da body-building,
o al mare in microbikini con piercing
multipli in bella mostra.
Ma non si
hanno solo eccessi ed aberrazioni, esiste anche un cambiamento sostanziale
dello stile di vita che avvicina la maggior parte dei cinquantenni di oggi ai
quarantenni e, per alcuni aspetti, ai trentenni di mezzo secolo fa. L’aspetto positivo
è dato dalla concezione che si ha di sé stessi: non vi è più l’atteggiamento
rassegnato di chi ritiene che l’inevitabile declino debba accompagnarsi ad una
serie di rinunce, a cominciare da quella di recitare un ruolo sociale da
protagonista, fino a quella di considerare l’attività motoria in generale, e
l’attività sportiva in particolare, esclusivo appannaggio dei giovani. Oggi, la
maggior parte delle persone impegnate sistematicamente a fare jogging o esercizi ginnici all’aperto,
nelle grandi città, è di età media o avanzata; allo stesso modo, l’età media
degli utenti delle palestre è notevolmente cresciuta.
Schematizzando, si rileva che all’origine di
tutti questi comportamenti si possono riconoscere due diversi atteggiamenti
psicologici: 1) una sostanziale negazione della realtà involutiva; 2) un
fattivo impegno nel contrastare conseguenze e segni della senescenza
fisiologica.
Il secondo
dei due atteggiamenti è all’origine della sempre più diffusa abitudine
all’esercizio cognitivo, nell’età avanzata, mediante programmi elettronici,
spesso strutturati in forma di giochi di memoria, apprendimento e abilità. Un
fatto è certo: mantenere giovane la mente attraverso una stimolazione
d’esperienza ambientale ed interpersonale ricca, variata e frequente, e
soprattutto mediante un esercizio cognitivo costante, giova alla salute del
sistema nervoso centrale e di tutto l’organismo, riducendo drasticamente
l’incidenza della patologia e neutralizzando gli effetti più gravi
dell’invecchiamento sulle prestazioni intellettive.
La valutazione
e l’esercizio delle abilità cognitive dovrebbero essere condotti secondo i
principi del test-training cognitivo
assistito da computer, formulati per la prima volta al Bellevue Hospital dai
coniugi Gianutsos e portati in Italia da Luciano Lugeschi, ma, nonostante
decenni di applicazione di tali metodi da parte di alcuni istituti di alta
specializzazione, la maggior parte dei servizi di neuropsicologia clinica
adotta ancora vecchie impostazioni, rinnovate solo nella struttura
computerizzata dei test, spesso presentati con una gradevole forma grafica.
Misurare
le prestazioni, non solo per calibrare l’esercizio ma anche per fini
diagnostici, attualmente non è un problema; al contrario, riuscire a
comprendere se e come i processi di invecchiamento cerebrale incidano sul
profilo prestazionale dei singoli casi è spesso impossibile.
L’invecchiamento
cognitivo è un processo estremamente complesso e difficile da valutare. Affrontando
questo problema, Machado e colleghi, dopo uno studio approfondito, hanno
elaborato un metodo statistico per indagare l’invecchiamento con un approccio
gerarchico, multidimensionale e multivariato.
(Machado A., et al. Proposal for a
hierarchical, multidimensional, and multivariate approach to investigate
cognitive aging. Neurobiology of Aging 71:
179-188, 2018).
La provenienza degli autori è la seguente: Division
of Clinical Geriatrics, Centre for Alzheimer’s Research, Department of Neurobiology,
Care Sciences and Society, Karolinska Institutet, Stockholm, (Svezia);
Department of Clinical Psychology, Psychobiology and Methodology, Faculty of
Psychology, La Laguna, Tenerife (Spagna); Department of Clinical Psychology Department
of Clinical Psychology Department of Clinical Psychology Department of Clinical
Psychology Department of Clinical Psychology and Neuropsychology, Faculty of
Health Sciences, University Fernando Pessoa Canarias, Las Palmas de Gran
Canaria (Spagna); Department of Radiology, Hospital Universitario de Canarias,
La Laguna, Tenerife (Spagna).
Un limite
notevole per lo studio dell’invecchiamento cognitivo consiste nella mancanza di
dati precisi circa il suo rapporto con la neurobiologia dei processi involutivi cerebrali.
Al livello
molecolare, molti dati sui cambiamenti che intervengono col passare degli anni,
distinti da quelli associati a patologia, sono ormai nozioni consolidate. Ad
esempio, gli schemi di espressione della Na/K-ATPasi mutano negli anni e, in
modo diverso, nella demenza. L’isoforma dell’mRNA α-3 si trova accumulata
nei corpi cellulari, in particolare dei neuroni piramidali, mentre l’isoforma
dell’mRNA α-1 è presente negli astrociti, diffusamente distribuita nel
neuropilo. Nel cervello di una persona di 78 anni l’espressione dell’isoforma dell’mRNA
α-1 non è significativamente mutata rispetto a quella che si rinviene
nell’encefalo di una persona di 39 anni, mentre l’espressione dell’isoforma
α-3 è lievemente ridotta nel pericario delle cellule nervose. Invece, nel
cervello di un anziano affetto da malattia di Alzheimer della stessa età (78
anni) il contenuto dell’isoforma dell’mRNA α-3 è marcatamente diminuito
nel pericario[3].
Un altro dato
consolidato riguarda il livello di attività metabolica cerebrale, associato al
tasso di consumo di ossigeno, che presenta valori estremamente alti
nell’infanzia (5.2 ml/100 g), una riduzione significativa con un plateau nell’età adulta (3.5 ml/100 g),
ed un declino minimo nella senilità fisiologica.
Nell’ambito
dei cambiamenti cellulari, quello che interessa la microglia è tra i più noti e
studiati. Morfologicamente, col passare degli anni la microglia diviene
distrofica e presenta ramificazioni ridotte, atrofia e alterazioni dei processi[4]; nel citoplasma, particolarmente intorno al nucleo,
si ha frammentazione e aumento della colorazione della lectina; si rileva
frammentazione nucleare e aumento dei granuli di lipofuscina. Infine, nell’età
avanzata, parte della microglia assume tutti i caratteri della forma attivata[5]; un reperto, questo, che è stato messo in
relazione con stati infiammatori tipici del cervello senescente.
In
passato, gli elementi macroscopici dell’atrofia corticale senile e della
deposizione di amiloide in assenza di patologia neurodegenerativa sono stati
valutati in rapporto alle abilità cognitive, ma i dati ottenuti, spesso
eterogenei e discordanti, non hanno provato una relazione diretta fra l’entità
di questi fenomeni e la riduzione delle prestazioni[6].
Gli autori
dello studio qui recensito hanno applicato per la prima volta in uno studio
sull’invecchiamento cognitivo un utile algoritmo, l’OLPS (Orthogonal Partial Least Squares),
un’estensione della PCA (principal component analysis), a strutture latenti e
modelli gerarchici.
In un
campione di 460 volontari di età compresa fra i 35 e gli 85 anni, nella norma
per grado di intelligenza e abilità cognitivo-strumentali e senza apparenti
malattie del sistema nervoso centrale, è stata studiata l’associazione fra
l’età e ben 316 dati di misura, di origine demografica, clinica, cognitiva e di
neuroimmagine.
Con questo
sistema di analisi dei dati, l’età ha
mostrato una stretta associazione con la struttura
cerebrale, specialmente nelle regioni “associative” della corteccia cerebrale del lobo frontale e del lobo parietale. L’età ha mostrato un’associazione piuttosto forte
anche con la cognizione. Come ci si aspettava, i due importanti parametri della
velocità centrale di processo e delle
funzioni esecutive hanno fatto
registrare una significativa associazione col dato anagrafico, ma di gran lunga
maggiore è risultata l’associazione tra la memoria
visiva e gli anni del volontario.
Le misure
cliniche sono invece risultate in associazione più debole con l’epoca della
vita dei soggetti studiati. Le analisi gerarchica
e di correlazione hanno ulteriormente
confermato le associazioni rilevate, secondo questa gradazione di importanza
delle fonti documentali: neuroimmagini, cognizione, clinica.
Per la
significatività dei risultati ottenuti, Machado e colleghi concludono che l’OLPS
e i modelli gerarchici sono strumenti promettenti per una migliore comprensione
dei complessi aspetti dell’invecchiamento cognitivo.
L’autore della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella
pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia
BM&L-29 settembre
2018
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La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è
registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in
data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione
scientifica e culturale non-profit.
[1] Cicerone a quell’età intraprese lo studio di due
nuove lingue. Rita Levi- Montalcini, dopo aver compiuto i cento anni,
dichiarava di sentirsi intellettivamente lucida ed efficiente, più di quanto
non fosse in età giovanile. Questa sua percezione soggettiva, sicuramente da
riferirsi all’efficienza nei compiti costantemente esercitati di studio,
riflessione e supervisione del lavoro di ricerca, ha avuto conferme oggettive
da parte di collaboratori ed altri osservatori che ne hanno testimoniato e
apprezzato la straordinaria lucidità e intelligenza.
[2] Marcel Proust, Alla Ricerca del Tempo Perduto, IV vol., pp.621-622, I Meridiani, Mondadori, Milano 1993.
[3]
Cfr. in Basic Neurochemistry (Brady,
Siegel, Albers, Price) Eighth edition, p. 45, Elsevier AP, 2012.
[4]
Streit W. J., Microglial senescence: Does the brain immune system have an
expiration date? Trends in Neuroscience 29, 506-510, 2006.
[5]
Conde J. R. & Streit W. J., Effect of aging on the microglial response to
peripheral nerve injury. Neurobiology of Aging 27, 1451-1461, 2006.
[6] Si vedano le recensioni di
argomento connesso nella sezione “Note e Notizie” del sito.